Hamburger vegani, la polemica degli allevatori
“Se è vegano non è hamburger": si potrebbe riassumere così la polemica di numerosi allevatori nei confronti delle multinazionali e dell’industria “green”, dedita alla produzione e vendita di alimenti di origine vegetale sostituti della carne.
La posta in palio, secondo l’industria della carne e gli allevatori, è altissima. Termini come “hamburger” o “salsiccia” infatti hanno sempre rappresentato nell’immaginario collettivo alimenti a base di carne, ma negli ultimi anni l’industria dei prodotti “sostenibili” ne ha fatto un uso (a loro dire) scorretto per vendere sul mercato diversi prodotti alternativi.
I consumi di carne animale hanno registrato nel 2020 un -3%, ma nello stesso periodo l’industria “verde” ha visto lo stesso dato aumentare di uno strabiliante +264%. I consumatori sono attratti da questo tipo di prodotto che imita la carne quanto più possibile nella forma e nel sapore, non c’è dubbio.
I consumi di carne animale hanno registrato nel 2020 un -3%, ma nello stesso periodo l’industria “verde” ha visto lo stesso dato aumentare di uno strabiliante +264%. I consumatori sono attratti da questo tipo di prodotto che imita la carne quanto più possibile nella forma e nel sapore, non c’è dubbio.
Cosa dice l’unione europea a riguardo?
Sebbene in alcuni stati come la Francia sia già illegale da qualche anno vendere prodotti di origine vegetale associandoli a termini come “hamburger” o “salsiccia”, per adesso Bruxelles si limiterà ad emettere un parere non vincolante in merito, lasciando una maggiore libertà (e responsabilità) ai singoli stati.
Le tre principali alternative sono:
- Vietare all’industria verde di utilizzare i termini propri degli alimenti di origine animale;
- Sdoganare l’utilizzo di queste parole, con una grande attenzione a distinguere l’origine e gli ingredienti utilizzati sulla confezione;
- Concedere l’utilizzo di termini generici, limitando però il copyright per alimenti specifici come salame o prosciutto solo per la controparte di origine animale.
Le tre principali alternative sono:
- Vietare all’industria verde di utilizzare i termini propri degli alimenti di origine animale;
- Sdoganare l’utilizzo di queste parole, con una grande attenzione a distinguere l’origine e gli ingredienti utilizzati sulla confezione;
- Concedere l’utilizzo di termini generici, limitando però il copyright per alimenti specifici come salame o prosciutto solo per la controparte di origine animale.
Un dibattito aperto su più fronti
Il giro d’affari di tutti questi prodotti, derivati dalla carne o meno, è davvero grande, e i consumatori si ritrovano nell’occhio del ciclone. Se da una parte infatti la Coldiretti, schierata con gli allevatori, sostenga come il 93% degli italiani sia ingannato dalla carne finta, l’ufficio europeo dei consumatori controbatte dicendo come il 70% delle persone sia favorevole all’utilizzo dei termini più comuni, a patto che l’origine vegetale sia ben chiara.
In questo tempi una sola cosa è certa: l’industria della carne “green” piace, e ha davanti a sé un futuro di grande espansione, a prescindere dai termini utilizzati.
In questo tempi una sola cosa è certa: l’industria della carne “green” piace, e ha davanti a sé un futuro di grande espansione, a prescindere dai termini utilizzati.