Perché gli chef stellati rinunciano alle stelle Michelin
Vedere una placca rossa all’ingresso di un ristorante significa soltanto una cosa: è presente nella Guida Michelin.
È un segno che distingue le migliori realtà ristorative. Introdotta dal 1926 dalla famosa casa produttrice di pneumatici per valutare i ristoranti e per inserirli come consigli durante i viaggi. Viene valutata la location, la cucina e lo chef e si possono assegnare da una a tre stelle tenendo conto di ogni parametro.
Ma cosa vuol dire conquistare una stella Michelin? Positività, attenzione dei media, clientela che aumenta e continue sfide tra gli chef detentori.
Cosa comporta invece perdere una stella Michelin? Rumore, meno interesse dai media, riduzione del giro d’affari.
È un fenomeno molto diffuso nel panorama mondiale la rinuncia alle stelle in modo da non sottostare più ai dettami della guida Michelin. Il che non vuol dire perdere le stelle, come spesso avviene, ma rinunciarvi a priori.
Una delle rinunce più chiacchierate è quella di Gualtiero Marchesi, il grande chef Italiano che costrinse gli ispettori Michelin a non presentarsi più al suo ristorante.
Nel 1999 Marco Pierre White restituì le tre stelle ricevute ritenendo assurdo essere giudicato da ispettori meno competenti di lui.
Più recente il gesto di Sebastien Bras: nel 2017 decise di rinunciarvi per lo stress da sostenere con il giudizio e per svolgere così il suo lavoro più serenamente.
Molti chef sentono Michelin come una gabbia come Henrique Leis o Julio Biosca. Ricordiamo anche Karen Keygnaert, la quale ha rinunciato a Michelin per la sua libertà, per non sentirsi dire frasi del tipo: “Non è appropriato per un ristorante stellato...”.
Qualcuno potrebbe pensare che Michelin è una realtà puramente commerciale? Ciò che è appurato è che richiede dei costi di mantenimento molto alti e una pressione costante che potrebbe limitare la creatività degli chef. Restituire le stelle fa scalpore, sì, come lo fa perderle, ma è un meccanismo che attira comunque l'attenzione dei clienti.
È un segno che distingue le migliori realtà ristorative. Introdotta dal 1926 dalla famosa casa produttrice di pneumatici per valutare i ristoranti e per inserirli come consigli durante i viaggi. Viene valutata la location, la cucina e lo chef e si possono assegnare da una a tre stelle tenendo conto di ogni parametro.
Ma cosa vuol dire conquistare una stella Michelin? Positività, attenzione dei media, clientela che aumenta e continue sfide tra gli chef detentori.
Cosa comporta invece perdere una stella Michelin? Rumore, meno interesse dai media, riduzione del giro d’affari.
È un fenomeno molto diffuso nel panorama mondiale la rinuncia alle stelle in modo da non sottostare più ai dettami della guida Michelin. Il che non vuol dire perdere le stelle, come spesso avviene, ma rinunciarvi a priori.
Una delle rinunce più chiacchierate è quella di Gualtiero Marchesi, il grande chef Italiano che costrinse gli ispettori Michelin a non presentarsi più al suo ristorante.
Nel 1999 Marco Pierre White restituì le tre stelle ricevute ritenendo assurdo essere giudicato da ispettori meno competenti di lui.
Più recente il gesto di Sebastien Bras: nel 2017 decise di rinunciarvi per lo stress da sostenere con il giudizio e per svolgere così il suo lavoro più serenamente.
Molti chef sentono Michelin come una gabbia come Henrique Leis o Julio Biosca. Ricordiamo anche Karen Keygnaert, la quale ha rinunciato a Michelin per la sua libertà, per non sentirsi dire frasi del tipo: “Non è appropriato per un ristorante stellato...”.
Qualcuno potrebbe pensare che Michelin è una realtà puramente commerciale? Ciò che è appurato è che richiede dei costi di mantenimento molto alti e una pressione costante che potrebbe limitare la creatività degli chef. Restituire le stelle fa scalpore, sì, come lo fa perderle, ma è un meccanismo che attira comunque l'attenzione dei clienti.