Conservazione con lo zucchero
Il saccarosio, comunemente chiamato zucchero, fa parte della categoria dei conservanti naturali, come il sale, l’olio, l’aceto e l’alcool.
In particolar modo lo zucchero agisce con lo stesso meccanismo del cloruro di sodio: penetra nei tessuti e, catturando l’acqua, disidrata l’alimento creando un habitat non idoneo alla crescita di alcuni batteri. E’ lo stesso principio per cui in casa abbiamo l’abitudine di inserire qualche chicco di riso nelle saliere o una zolletta di zucchero nel recipiente dove conserviamo i formaggi. Si abbassa il tasso di umidità e si previene la formazione di muffe.
La formazione di alcuni microorganismi, però, non è inibita: per questo motivo all’uso di zucchero si associano altri metodi di conservazione come la sterilizzazione.
La conservazione con uso di zucchero si applica nella produzione di marmellate, confetture, gelatine o canditi ed è usata anche in ambito domestico.
Gli alimenti con PH basso, come gli agrumi, permettono la produzione di marmellate con una concentrazione di zucchero inferiore rispetto alle conserve e le gelatine, in cui lo zucchero si presenta in una concentrazione del 65-70%. Spesso infatti a queste preparazioni si aggiungono degli acidificanti proprio per abbassare la percentuale di zucchero e garantire una buona conservazione.
Quando prepariamo le marmellate fatte in casa, dobbiamo travasarle ancora bollenti in barattoli sterilizzati e a chiusura ermetica: in questo modo al processo osmotico del saccarosio affianchiamo una sterilizzazione a caldo, e possiamo diminuire i quantitativi di zucchero. Spesso a questi metodi di conservazione si affianca anche la refrigerazione: i barattoli di marmellata, una volta aperti, si ripongono in frigorifero. Se la quantità di zucchero è corretta e avviene la sterilizzazione a caldo, si possono conservare i vasi anche a temperatura ambiente: il velo di muffa che potrebbe crearsi in superficie nasce perché lo strato esterno sfugge all’osmosi: una volta eliminato lo strato di muffa il resto del prodotto è assolutamente commestibile.
La lunga esposizione degli alimenti al calore nella cottura delle marmellate e delle conserve è dannosa da un punto di vista nutrizionale in quanto si disperdono molte sostanze: spesso si ovvia a questo problema aggiungendo degli addensanti naturali come la pectina o l’agar-agar che permettono di diminuire i tempi.
La canditura invece consiste nell’immersione dei prodotti (in genere frutta) in uno sciroppo di zucchero. Il prodotto di questa operazione viene chiamato candito.
Questo termine a livello etimologico deriva proprio da una parola araba che significa “zucchero”. Anche in questo caso è il processo osmotico dello zucchero che, riducendo il quantitativo di acqua, disidrata i microrganismi, inibendone la proliferazione. Anche se il processo osmotico causa la perdita di molti valori nutrizionali, vitamine e aromi possono conservarsi perché la canditura può avvenire anche a freddo.
Oltre al saccarosio, per la canditura si può usare uno zucchero semplice come il fruttosio o il miele.
La tecnica della canditura, come la salagione, è antichissima. Era utilizzata in tempi remoti in diverse culture: da quella mesopotamica a quella cinese.
Nel nostro paese la frutta candita è diventata parte integrante di ricette regionali, come la cassata siciliana o il panettone milanese.
L’uso di zucchero nella canditura può avvenire sia a livello artigianale che industriale.
A livello artigianale, la frutta viene coperta di sciroppo e conservata per una settimana. Trascorso questo tempo, lo sciroppo viene concentrato attraverso l’evaporazione e rinforzato con l’aggiunta di altro zucchero, per poi essere nuovamente versato sulla frutta da candire. Quest’operazione viene ripetuto fino ad ottenere il risultato desiderato. Questo metodo si chiama giulebbatura, dalla parola araba giulab, ovvero “acqua di rose”. Infatti gli arabi, specializzati nella canditura di petali di rose, sono da considerarsi i precursori della canditura moderna.
La frutta da candire è generalmente tagliata in piccoli pezzi, in maniera da facilitare il processo osmotico. Per candire un frutto intero, è buona norma forarlo con un ago in maniera da permettere alla soluzione zuccherina di penetrare fino all’interno.
A livello industriale si utilizzano le autoclavi di canditura, ovvero dei recipienti a chiusura ermetica in cui la bassa pressione permette di abbassare la temperatura di ebollizione e la conseguente concentrazione della soluzione zuccherina.
In particolar modo lo zucchero agisce con lo stesso meccanismo del cloruro di sodio: penetra nei tessuti e, catturando l’acqua, disidrata l’alimento creando un habitat non idoneo alla crescita di alcuni batteri. E’ lo stesso principio per cui in casa abbiamo l’abitudine di inserire qualche chicco di riso nelle saliere o una zolletta di zucchero nel recipiente dove conserviamo i formaggi. Si abbassa il tasso di umidità e si previene la formazione di muffe.
La formazione di alcuni microorganismi, però, non è inibita: per questo motivo all’uso di zucchero si associano altri metodi di conservazione come la sterilizzazione.
La conservazione con uso di zucchero si applica nella produzione di marmellate, confetture, gelatine o canditi ed è usata anche in ambito domestico.
Gli alimenti con PH basso, come gli agrumi, permettono la produzione di marmellate con una concentrazione di zucchero inferiore rispetto alle conserve e le gelatine, in cui lo zucchero si presenta in una concentrazione del 65-70%. Spesso infatti a queste preparazioni si aggiungono degli acidificanti proprio per abbassare la percentuale di zucchero e garantire una buona conservazione.
Quando prepariamo le marmellate fatte in casa, dobbiamo travasarle ancora bollenti in barattoli sterilizzati e a chiusura ermetica: in questo modo al processo osmotico del saccarosio affianchiamo una sterilizzazione a caldo, e possiamo diminuire i quantitativi di zucchero. Spesso a questi metodi di conservazione si affianca anche la refrigerazione: i barattoli di marmellata, una volta aperti, si ripongono in frigorifero. Se la quantità di zucchero è corretta e avviene la sterilizzazione a caldo, si possono conservare i vasi anche a temperatura ambiente: il velo di muffa che potrebbe crearsi in superficie nasce perché lo strato esterno sfugge all’osmosi: una volta eliminato lo strato di muffa il resto del prodotto è assolutamente commestibile.
La lunga esposizione degli alimenti al calore nella cottura delle marmellate e delle conserve è dannosa da un punto di vista nutrizionale in quanto si disperdono molte sostanze: spesso si ovvia a questo problema aggiungendo degli addensanti naturali come la pectina o l’agar-agar che permettono di diminuire i tempi.
La canditura invece consiste nell’immersione dei prodotti (in genere frutta) in uno sciroppo di zucchero. Il prodotto di questa operazione viene chiamato candito.
Questo termine a livello etimologico deriva proprio da una parola araba che significa “zucchero”. Anche in questo caso è il processo osmotico dello zucchero che, riducendo il quantitativo di acqua, disidrata i microrganismi, inibendone la proliferazione. Anche se il processo osmotico causa la perdita di molti valori nutrizionali, vitamine e aromi possono conservarsi perché la canditura può avvenire anche a freddo.
Oltre al saccarosio, per la canditura si può usare uno zucchero semplice come il fruttosio o il miele.
La tecnica della canditura, come la salagione, è antichissima. Era utilizzata in tempi remoti in diverse culture: da quella mesopotamica a quella cinese.
Nel nostro paese la frutta candita è diventata parte integrante di ricette regionali, come la cassata siciliana o il panettone milanese.
L’uso di zucchero nella canditura può avvenire sia a livello artigianale che industriale.
A livello artigianale, la frutta viene coperta di sciroppo e conservata per una settimana. Trascorso questo tempo, lo sciroppo viene concentrato attraverso l’evaporazione e rinforzato con l’aggiunta di altro zucchero, per poi essere nuovamente versato sulla frutta da candire. Quest’operazione viene ripetuto fino ad ottenere il risultato desiderato. Questo metodo si chiama giulebbatura, dalla parola araba giulab, ovvero “acqua di rose”. Infatti gli arabi, specializzati nella canditura di petali di rose, sono da considerarsi i precursori della canditura moderna.
La frutta da candire è generalmente tagliata in piccoli pezzi, in maniera da facilitare il processo osmotico. Per candire un frutto intero, è buona norma forarlo con un ago in maniera da permettere alla soluzione zuccherina di penetrare fino all’interno.
A livello industriale si utilizzano le autoclavi di canditura, ovvero dei recipienti a chiusura ermetica in cui la bassa pressione permette di abbassare la temperatura di ebollizione e la conseguente concentrazione della soluzione zuccherina.
Commenti
3 commenti inseriti
Inviato da
mari
il 21/09/2014 alle 15:28
Grazie della risposta. Ma io intendo quello liquido in bottiglia che di solito si usa per i cocktail. Non cristallizza e se funzionasse sarebbe tutto molto più semplice....
Inviato da
il 19/09/2014 alle 09:07
Ciao Mari, certo puoi usare anche lo zucchero di canna se desideri.
Inviato da
MARI
il 18/09/2014 alle 20:01
SI PUO' CANDIRE LA FRUTTA ANCHE CON LO ZUCCHERO DI CANNA LIQUIDO?