Il food sharing contro lo spreco alimentare

Introduzione
Condividere il cibo non consumato con gli altri, magari con chi ne ha bisogno, è un modo sia per eliminare gli sprechi sia per fare un gesto concreto di solidarietà. Il food sharing, se consideriamo che in Italia ogni anno si buttano via oltre 12 miliardi di euro di alimenti, mentre nel mondo si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno, diventa anche un modo per ridurre la quantità di rifiuti prodotti, dando nuova vita ad alimenti ancora perfettamente commestibili.
Un’iniziativa sia per i privati che per le aziende
La maggiore quantità di sprechi alimentari è causata dalle logiche della grande distribuzione. Prodotti in scadenza o con confezioni non perfettamente integre sono spesso scartati, perché non incontrano i gusti del consumatore medio. Per questo motivo alcune catene di ipermercati hanno deciso di raccogliere quanto rischiava di diventare un rifiuto, nonostante fosse invece ancora commestibile, e di donarlo a enti e istituzioni caritatevoli, in modo che potesse trasformarsi in pasti da distribuire nelle mense per i poveri o in pacchi alimentari per le famiglie in difficoltà. Simili meccanismi sono stati adottati anche da molte mense, sia scolastiche che aziendali, in varie parti del Paese.
Esistono però anche delle iniziative da parte dei singoli, che attraverso la solidarietà delle persone raccolgono e distribuiscono derrate alimentari.
Per esempio un’associazione no profit di Caltagirone, in Sicilia, formata da quattro giovani e chiamata “I food share”, ha ideato un meccanismo semplice quanto efficace: attraverso la loro piattaforma web, la prima del suo genere in Italia, privati cittadini o aziende possono mettere a disposizione le eccedenze alimentari che, una volta visibili sul sito, possono essere richieste da singoli, parrocchie, associazioni caritatevoli e così via. In questo modo la domanda e l’offerta si incontrano in modo facile e senza mediazioni.
Dalla Germania la prima iniziativa aperta a tutti
L’idea dei quattro amici di Caltagirone si ispira a una piattaforma di condivisione del cibo lanciata in Germania alla fine del 2012. In questo caso, però, il food sharing non si rivolge solo ai bisognosi, ma a tutti: la volontà è quella di trasformare il possibile scarto o avanzo di una famiglia in risorsa per un'altra, secondo un principio etico solidaristico sì, ma soprattutto di rifiuto dello spreco.
Se per esempio una famiglia ha acquistato prodotti in eccesso, o ha necessità di regalarli prima di partire per le vacanze, basta inserire i cibi che si è disposti a donare sulla piattaforma, indicando quantità e qualità degli alimenti, data di scadenza e città dove si può effettuare il ritiro. Gli ideatori di questo sistema si sono rivolti anche ad aziende, negozi, supermercati e produttori bio, oltre che ai singoli cittadini, per ampliare il più possibile l’offerta, secondo un preciso obiettivo, molto ambizioso: creare un nuovo modello sociale che parta dal basso, in cui ognuno può contribuire concretamente a ridurre gli scarti alimentari, diminuire la produzione di rifiuti e creare una rete di persone che condividono, in una logica di scambio e solidarietà, qualcosa di essenziale come il cibo.
Barattare è meglio che sprecare
Un altro sistema di riutilizzo e condivisione del cibo è il food swapping, un vero e proprio baratto in cui, sempre grazie a piattaforme online, si possono fare degli scambi di alimenti con altri. Prodotti comprati per errore, che non saranno mai consumati ma ancora commestibili, oppure in eccesso, ma anche fatti in casa o cresciuti nel proprio orto, vengono dati a chi invece li utilizzerà, il quale ricambia con altri cibi. Il valore economico degli alimenti oggetto del baratto non è detto sia lo stesso, ma quel che conta è riciclare e non sprecare. Di solito si svolgono dei mercatini del baratto in cui tutti coloro che sono interessati possono partecipare per offrire i proprio prodotti e scambiarli con quelli di altri. Questo progetto, nato attraverso il sito www.foodswapnetwork.com e diffuso in America del Nord e in molti Paesi europei, conta ormai una rete in costante crescita di cosiddetti swapper e ha anche un valore sociale, essendo in grado di connettere tra loro le persone e di favorire migliori rapporti all’interno delle comunità.

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